Avatar: l’eterna lotta del sangue contro l’oro

19 01 2010

Un film bello ed emozionante, atteso e visto già da centinaia di migliaia di italiani. Oltre 5,9 milioni di euro di incasso nei primi due giorni in cui è stato distribuito nelle sale italiane. Un film appassionante malgrado la durata, fantascientifico ma di una razionalità kantiana – “tutto ciò che è razionale è reale” – carico di un significato che attraversa la storia dell’uomo e non può essere contestualizzato in un dato momento storico. Ed è questo il valore aggiunto dell’opera. Un film che di per sé si basa su un cliché abbastanza noto, se vogliamo anche abusato, con una serie di riferimenti neanche troppo velati ad altre opere altrettanto famose: da “Pocahontas” a “Balla coi Lupi” per arrivare ad “Apocalipse Now”. Ma il quid che rende quest’opera un capolavoro è il messaggio che il film riesce a proiettare nello spettatore, che fa la rima all’energia panica che pervade il pianeta di Pandora, vaso che non va aperto ma anche antico strumento musicale: é lo spirito di ogni uomo in ogni epoca, che attraversa la storia ed è denominatore comune delle civiltà più disparate e delle epoche più diverse. È lo spirito di chi vive la propria terra, come elemento organica ad essa, e che non la baratterebbe mai con la civiltà di chicchessia, perché ‘altra’ – o meglio ancora ‘aliena’ – da sé stessi. È lo spirito, eterno e immutabile, di chi é disposto a dare tutto sé stesso per il mondo che ha informato il suo essere e di cui egli stesso è insieme agente e prodotto. È quel filo conduttore che unisce gli spartani delle Termopili, disposti a morire per le colline brulle e rocciose della Laconia anziché disonorare la propria vita e il dna del proprio popolo per trasformarsi in una satrapia dell’impero persiano, ai giapponesi di Guam o di Iwo Jima o agli stessi indiani d’America. Ma non nell’accezione volgare del termine, quella dei primitivi che usano frecce di legno e ululano al vento. Un sentimento, dunque, che è componente primario della natura umana di chi è integrato nel proprio mondo e ne rispetta le leggi, come agente subordinato alle sue regole e non come elemento di distruzione e predominio. Un aspetto, questo, che la civiltà industriale ha cancellato ormai da decenni. Questa è Pandora: questa è l’eterna lotta del sangue contro l’oro. L’homo spiritualis che non si piega a diventare homo oeconomicus, che non è pronto a chinare la testa per i beni materiali anche quando la sconfitta è prossima e sembra che la lotta non abbia più ragion d’essere. Quando sembra che non convenga. Un criterio quantitativo e matematico che non piega l’intima essenza umana che porta a fare sacrificio di sé, a sublimarsi in un gesto che vale una vita, a consacrare un codice d’onore per una filosofia di vita che non può essere mercanteggiata per la birra light, come ricorda il protagonista, Jake Sully. Ecco quindi una proiezione grafica, ora anche in 3D, del titanismo dei bluastri personaggi di Pandora, lo stesso colore con cui le popolazioni celtiche si coprivano il corpo prima della lotta. Riferimenti critici alla guerra in Iraq? Un presa di posizione contro la politica estera statunitense dell’era Bush, contando che il progetto del film è iniziato quattro anni fa? Forse, ma non solo. I Na’vi non sono solo gli iracheni e il mondo non ruota tutto intorno agli Stati Uniti. Così come non lo sono nemmeno tanti destini che pretendono di essere ‘manifesti’: ci sarà sempre qualcuno non disposto ad accettare supinamente la distruzione e la violenza in nome della materia, dell’economia, dello sfruttamento delle risorse, di un imperialismo antiumano che è contrario agli elementi costitutivi del genoma culturale dell’uomo. Tra questi elementi c’è il rapporto con la natura e l’ambiente e non é certo questa una scoperta attribuibile a Cameron, così come la musicalità delle piante, credenza di tante culture ancor prima che lo scienza lo potesse dimostrare. Avatar rappresenta tutto questo: l’eterna lotta tra quel che conviene fare – abbandonare la propria terra ricca di ‘unobtanium’ – e quel che è giusto fare, a prescindere dalle conseguenze. È una logica che la società di oggi vorrebbe oscurare, mediante l’accettazione del predominio dell’economia, dell’interesse e del facile guadagno sulla volontà di affermare la superiorità della libertà di scelta e dell’importanza dell’universo culturale da cui si proviene. È la vittoria dello spirito – e del sangue, come elemento costitutivo e insieme collettore di ogni uomo – sulla materia: Avatar è un successo perché ci ha ricordato che questo è ancora possibile.

di Jacopo Barbarito